12/03/2010
Il carro trainato dal cavallo era il mezzo
pubblico più celere per andare nel Capoluogo.
Sapevo che quella era la sua funzione poiché da sempre avevo visto passare sullo
stradone polveroso il carro con le sponde, con gente seduta sulle sediole basse
disposte a coppie su quattro o cinque file, ma non avevo mai avuto occasione di
utilizzare quel servizio. Mai avrei immaginato di dover andare in città con quel
mezzo: a fare che, poi!? … nel paese si trovava a sufficienza ciò di cui
abbisognavano i paesani. In seguito però l'occasione capitò.
Venni informato che il mezzo sarebbe partito dalla piazzetta della barberia, e
con tanto di orario di partenza, mentre quello di arrivo nessuno poteva davvero
immaginarlo di preciso, anche se pomposamente venivano dichiarati.
Andata: partenza alle otto in punto, e arrivo alle dodici in punto;
Ritorno: partenza alle quindici e arrivo alle diciotto e un quarto.
Alle otto meno dieci mi trovavo al luogo di partenza. Mi chiesi: chissà perché
quattro ore per andare e tre ore e un quarto per tornare ...!? mah!
Il carraio stava facendo pagare la corsa, e con mio grande stupore capii che i
sedili erano disposti per categoria: Prima, Seconda e addirittura Terza Classe.
Sorrisi: seduti su sedie impagliate tutte uguali, davanti o dietro cosa
cambiava? Con un veloce ragionamento decisi che essendo quella la corsa, quello
il carro, quelle le sediole e quella la destinazione: prima, seconda o terza
classe si arrivava in Città tutti assieme; poco importava se seduti nella prima,
seconda, terza, quarta o ultima fila. Tanto valeva acquistare il biglietto di
terza classe che costava meno.
Dopo mezz'ora mi ero ormai rassegnato alla
scomodità di quel “viaggiare”; ero seduto nell'ultima fila, i posti erano tutti
occupati e i più anziani avevano scelto di viaggiare in Prima classe: forse si
sentivano più a loro agio a stare davanti. Vedevo però che per gli scossoni
causati dal fondo stradale, traballavano quanto noi.
Dopo un'altra mezz'oretta il cavallo attaccò una salita, ma senza alcuna voglia
apparente di percorrerla. Il carrettiere infatti, dopo un paio di incitamenti
senza convinzione e senza speranza, intimò: “Giù la Terza Classe!”.
I miei compagni di Classe si accinsero a saltare giù dal carro, ed io che sapevo
di appartenere alla stessa Terza Classe, anche se un po' stupito, li imitai.
Il carro alleggerito del nostro peso, riprese l'andatura contrattuale, e così
andammo per quindici o venti minuti, e spesso fummo costretti persino a
spingere.
Poi risalimmo sul carro, un poco affaticati, ma per una buona mezz'ora avemmo
modo di riposarci. Presto però una nuova salita che ci si presentò mi parve più
dura della precedente. Non feci a tempo a constatarlo che il cavallo si piantò e
il carrettiere con fare sornione si voltò verso di noi e vide di sicuro dei
volti sgomenti nelle ultime file, ma impassibile disse: “Seconda e Terza Classe
a terra!”.
Avrei voluto piangere, ma guardando in viso i miei compagni, mi venne da ridere.
C'era poco da ridere però: mi accinsi comunque a spingere, e per una buona
mezz'ora.
Per altre due o tre volte al
carrettiere capitò di ripetere i “terza classe a terra!” o “seconda e terza
classe a terra!” e i “tutti su!”.
E finalmente si giunse al Capoluogo.
“Mi raccomando tutti qua alle tre precise!”
raccomandò il carrettiere. Mi allontanai, anch'io con un cenno di conferma,
forse sapeva che non ce l'avrebbe fatta a tornare al paese senza il nostro
aiuto, pensai.
Sbrigato l'affare per il quale avevo fatto il viaggio in città, alle quindici in
punto mi trovavo nel luogo di partenza per il ritorno.
La strada del ritorno prevedeva un lungo tratto di lievissima salita che quel
cavallo vagabondo affrontò senza lamentele; pertanto lo sbarco delle classi
inferiori dal carro fu necessario un solo paio di volte.
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